Dopo un infarto i processi biochimici che s’innescano lasciano il cuore danneggiato proprio come se fosse un’auto dopo un incidente.
Il tessuto lesionato deve essere ricostruito, ci sono danni muscolari e interruzioni del flusso di sangue e ossigeno al cuore. Poiché il cuore non riesce ad auto-ripararsi è importante scoprire come ridurre al minimo i danni.
La proteina “salvacuore”
I ricercatori dell’Heart Institute della San Diego State University hanno scoperto che una proteina può ridurre i danni causati da un infarto, migliorando i tassi di sopravvivenza e la funzione cardiaca in coloro che sopravvivono.
“Più il tuo cuore è danneggiato, peggiore è la prognosi a lungo termine, quindi è lì che si concentra la nostra ricerca“, ha dichiarato Chris Glembotski, cardiologo e direttore dell’SDSU Heart Institute. “Studiamo come rendere il cuore più resistente ai danni di un infarto, per migliorare il recupero del paziente“.
Un aiuto concreto anche per chi ha uno stent
Lo stent è un piccolo tubo a rete metallica che può essere inserito in alcuni organi cavi per sostenere le pareti interne e viene utilizzato soprattutto a livello vascolare, quando viene posto all’interno di arterie che presentano restringimenti o abbiano le pareti deboli, che richiedono un rinforzo.
Dopo un attacco cardiaco a molti pazienti viene inserito uno stent per aprire le arterie bloccate, il che aiuta a lungo termine ma “l’ondata” di ossigeno che passa attraverso lo stent presenta anche degli svantaggi.
“L’impulso di ossigeno che si verifica non appena lo stent viene impiantato ‘stordisce’ le cellule del cuore e alcune di esse muoiono, il che aumenta il danno irreparabile al cuore. Abbiamo trovato che questa proteina può ridurre al minimo lo stordimento“, ha detto Glembotski.
Glembotski e il dottorando Adrian Arrieta hanno scoperto che la proteina, MANF (fattore neurotrofico derivato dagli astrociti mesencefalici), agisce in modo molto simile a uno specialista di collisioni automobilistiche, correggendo altre proteine che si sono danneggiate.
Arrieta ha trovato prove che lo stress ossidativo iniziale dopo un attacco di cuore – la sovrabbondanza di ossigeno – è seguito da un effetto opposto potenzialmente dannoso. Lo stress ossidativo è come una reazione eccessiva in cui l’ossigeno viene utilizzato dal cuore così rapidamente che può esaurirsi. Arrieta ha scoperto che MANF ha ridotto il danno indotto dallo stress ossidativo nei topi.
Benefici preventivi se somministrati in ambulanza
Alla fine, i ricercatori anticipano che questa scoperta potrebbe portare alla somministrazione della proteina come farmaco che potrebbe essere somministrato alle vittime di infarto per via endovenosa dai primi soccorritori.
Immediatamente dopo un infarto c’è un “periodo d’oro” in cui l’intervento per ridurre la gravità e il danno può aumentare in modo significativo le possibilità non solo di sopravvivenza ma anche il livello di funzionalità che il cuore riacquista durante il recupero.
“Una delle nostre scoperte più interessanti è che MANF è una proteina chaperone che mantiene funzionali altre proteine durante lo stress“, ha detto Arrieta. “Se potessimo dare alle vittime di infarto più MANF, avrebbero meno danni e si riprenderebbero più rapidamente“.
Fonti:
https://newscenter.sdsu.edu/sdsu_newscenter/news_story.aspx?sid=78061
https://www.jbc.org/content/295/22/7566